La complessità, definita dal fisico David Sherrington “una delle piú grandi rivoluzioni concettuali dell’ultimo quarto del Novecento”, è un campo nuovo e interdisciplinare rispetto al magnetismo, che costituisce invece un settore piuttosto ristretto della fisica della materia, le cui basi concettuali sono state poste all’inizio dello stesso secolo grazie all’avvento della meccanica quantistica.
Esiste, tuttavia, un importante legame fra complessità e magnetismo perché, a partire dagli anni “70, una particolare classe di magneti disordinati, detti vetri di spin, ha rappresentato il paradigma di un sistema complesso in fisica. Infatti, i modelli magnetici e i metodi di calcolo, originariamente messi a punto per spiegare il comportamento dei vetri di spin, sono stati usati successivamente in contesti e settori anche molto diversi della scienza della complessità.

Il magnetismo: prime osservazioni e studi scientifici

Nel campo della fisica, il magnetismo è un fenomeno molto interessante sin dai tempi antichi.
Si tramanda che siano stati i Cinesi ad inventare la bussola (vedi Fig. 1a) mentre, secondo la leggenda riportata da Plinio il Vecchio, fu un pastore cretese che scoprì per primo il fenomeno dell’attrazione del ferro (i chiodi dei calzari e la punta del bastone) da parte della “pietra calamita” sul monte Ida. I primi giacimenti del minerale ferroso magnetite (FeO-Fe2O3) (vedi Fig. 1b) noti nel mondo antico si trovavano nella città di Magnesia ad Sipylum (oggi Manisa in Turchia).

Nell’ambito della fisica classica, i primi studi del magnetismo basati su rigorose osservazioni sperimentali si devono ad alcuni scienziati del XIX secolo: Oersted, Ampère, Faraday, Maxwell. In particolare Ampère espresse un importante principio, detto di equivalenza, fra un solenoide (ovvero una bobina percorsa da una corrente elettrica) e una barretta magnetica. Infatti, da un lato i campi magnetici prodotti dai due oggetti sono simili (vedi Fig. 2); dall’altro il solenoide e la barretta si comportano allo stesso modo quando sono immersi in un campo magnetico uniforme. In altre parole, il solenoide possiede un momento magnetico μ diretto lungo il proprio asse (vedi Fig. 3) che lo fa allineare con il campo esterno, proprio come farebbe l’aghetto magnetico di una bussola.

Fig. 2. Linee del campo magnetico prodotto da:
(a sinistra) una bobina percorsa da corrente elettrica; (a destra) una barretta magnetica.

Fig. 3. Momento magnetico μ associato ad una spira di superficie S percorsa dalla corrente elettrica I.

La scoperta dell’elettrone

Nel 1897 Thomson scoprì l’elettrone e pochi anni dopo Rutherford, in base ad evidenze sperimentali, propose un modello atomico planetario, nel quale l’elettrone orbita attorno al nucleo. Sembrava dunque naturale assimilare l’elettrone ad una microscopica spira percorsa da corrente elettrica, ed associare all’elettrone un momento magnetico “orbitale” in base al principio di equivalenza di Ampère. Tuttavia, secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico, una carica elettrica accelerata (come è l’elettrone su un’orbita circolare) è soggetta a perdere energia irradiando onde elettromagnetiche e infine a cadere sul nucleo; il tutto in un tempo brevissimo, dell’ordine di 1 ns (1 nanosecondo=10-9 s) cioè un miliardesimo di secondo. Appariva dunque impossibile, nell’ambito di tale modello e della fisica classica, spiegare la stabilità dell’atomo, e tantomeno il magnetismo di un solido, ovvero di un aggregato di atomi.

La meccanica quantistica

La soluzione al problema della stabilità dell’atomo arrivò grazie alla meccanica quantistica. Bohr (1913) propose un modello atomico nel quale l’elettrone è vincolato a muoversi su orbite discrete: in tal modo, può emettere onde elettromagnetiche solo quando si sposta da un’orbita all’altra. In questo modello, lo stato di un elettrone è caratterizzato da tre numeri (n,l,m), detti quantici perché possono assumere solo valori interi. Questo significa che l’energia, il momento angolare orbitale e il momento magnetico orbitale dell’elettrone non variano con continuità, ma assumono valori discreti.

La scoperta dello spin dell’elettrone

Alcuni anni dopo, venne introdotto nel modello atomico un quarto numero quantico s, detto spin, che poteva assumere solo due valori opposti e seminteri, ± ½ . L’esistenza dello spin fu ipotizzata su basi puramente fenomenologiche da Pauli (1925) nel tentativo di spiegare le proprietà anomale di alcuni spettri atomici in presenza di un campo magnetico. Pauli formulò il famoso principio di esclusione, il quale stabilisce che se due elettroni appartenenti a uno stesso atomo hanno uguali tutti e tre I numeri quantici (n, l, m), devono differire per lo spin, s. Grazie a tale principio, è possibile “incasellare” ogni atomo nella tavola periodica degli elementi in base alla propria configurazione elettronica, e individuare diverse famiglie (o “serie”) di atomi con proprietà chimiche simili. L’interpretazione fisica dello spin avvenne solo nel 1927, grazie all’esperimento di Stern-Gerlach (1922) e al relativo lavoro di interpretazione ad opera di diversi fisici teorici, incluso Pauli. Finalmente ci si rese conto che l’elettrone, oltre alla massa (m) e alla carica (e) possiede un’altra proprietà intrinseca, ovvero un momento magnetico di spin pari a un magnetone di Bohr (μB ). A differenza del momento magnetico orbitale, per il momento magnetico di spin non sono possibili interpretazioni semiclassiche. La scoperta dello spin dell’elettrone, in effetti, segnò il definitivo abbandono della fisica classica in favore della moderna teoria quantistica per l’interpretazione dei fenomeni atomici.

Diamagnetismo, Paramagnetismo e Ferromagnetismo

Conoscere la configurazione elettronica degli atomi è utile per comprendere le diverse proprietà magnetiche dei materiali. Le osservazioni sperimentali mostrano essenzialmente tre diversi tipi di comportamento. Se ad esempio prendiamo una barretta, la leghiamo ad un filo, e poi la avviciniamo ad un intenso campo magnetico, a seconda del materiale del quale è costituita, essa può essere respinta molto debolmente (è questo il caso dell’argento), oppure essere attratta debolmente (alluminio), o attratta fortemente (ferro). Si parla rispettivamente di diamagnetismo, paramagnetismo e ferromagnetismo. La differenza fra paramagneti e ferromagneti non sta solo nella intensità della forza di attrazione. Infatti, un paramagnete si smagnetizza appena il campo magnetico viene rimosso; un ferromagnete, invece, conserva il proprio stato fortemente magnetizzato per un tempo molto lungo, purché la temperatura non superi un certo valore critico detto temperatura di Curie, che dipende dal materiale. Per Fe, Co e Ni essa è rispettivamente 770, 1127 e 354 gradi centigradi, quindi di gran lunga superiore alla temperatura ambiente. Guardando la tavola periodica degli elementi riportata in Fig. 4, si nota che quelli ferromagnetici sono pochissimi, anche se molto abbondanti in natura, come il ferro.

Fig. 4. Proprietà magnetiche degli elementi nella tavola periodica . Solo ferro, cobalto e nichel sono ferromagnetici (caselle turchesi). Gli altri elementi sono paramagnetici (caselle bianche) o diamagnetici (caselle verdi). Il cromo è antiferromagnetico (casella viola).

Non è facile stabilire a priori quale comportamento presenterà un dato materiale: se diamagnetico, paramagnetico o ferromagnetico. Sicuramente possiamo affermare che se i livelli di un atomo sono completamente riempiti da elettroni, il momento magnetico complessivo sarà nullo e il materiale sarà diamagnetico: è il caso dei gas nobili. L’alluminio, invece, ha la struttura di un gas nobile e in più tre elettroni: due accoppiati e uno spaiato. L’elettrone spaiato dà luogo a un momento magnetico complessivo non nullo: quindi l’alluminio si comporta come un paramagnete (vedi nota *). Infine, il ferro, il cobalto e il nichel hanno molti elettroni spaiati, da cui risulta un momento magnetico complessivo molto alto. Tuttavia, questo fatto non è sufficiente per giustificare la proprietà dei materiali ferromagnetici di conservare la propria magnetizzazione anche dopo la rimozione della sorgente di campo magnetico. Nel 1906 il fisico francese Weiss aveva dato una spiegazione puramente fenomenologica ipotizzando l’esistenza di una interazione molto forte fra i momenti magnetici degli atomi che costituiscono il solido. Solo nel 1930 Heisenberg comprese la natura quantistica di tale interazione, detta di scambio.

L’interazione di scambio quantistica, responsabile del ferromagnetismo

In un solido, le distanze interatomiche sono tipicamente dell’ordine di 0.2 nm (1 nanometro=10-9 m).
A tali brevi distanze, gli elettroni spaiati appartenenti a due atomi vicini si respingono fortemente a causa della interazione elettrostatica, che è inversamente proporzionale al quadrato della distanza.
Come osservò Heisenberg nel 1930, il principio di esclusione di Pauli si applica anche a due elettroni appartenenti a due diversi atomi, vicini fra loro nella struttura cristallina di un solido: ovvero, i due elettroni non possono occupare simultaneamente la stessa posizione e avere lo stesso spin.
In alcuni materiali, detti ferromagnetici, gli elettroni spaiati appartenenti ai due atomi vicini allineano parallelamente i loro spin e in tal modo riescono ad abbassare l’energia totale del solido.
Infatti, se lo stato di spin dei due elettroni è lo stesso, essi in base al principio di Pauli devono allontanarsi (fino a circa 0.5 nm, ordine di grandezza tipico nei metalli), riducendo la repulsione elettrostatica. Schematizzando al massimo, è possibile descrivere il fenomeno per mezzo di una interazione efficace, detta interazione di scambio, fra gli spin di due elettroni primi vicini nel reticolo cristallino: \(E = – J_1 \sum_{ij} S_i · S_j\) (dove il simbolo \(\sum_{ij} \) indica la somma sui siti reticolari primi vicini). Va notato che l’ordine magnetico indotto dall’interazione di scambio è a lungo raggio: ovvero, gli spin si allineano (parallelamente fra loro se \(J_1 \gt 0\), vedi Fig. 5a) entro delle regioni, dette domini magnetici, le cui dimensioni sono tipicamente dell’ordine di 0.1 mm, dunque ben visibili al microscopio. È inoltre fondamentale notare che l’interazione di scambio, essendo basata sul principio di esclusione di Pauli, ha una natura quantistica e che, essendo di origine elettrostatica, è molto forte. Questo differenzia i materiali ferromagnetici da quelli paramagnetici, nei quali gli elettroni spaiati appartenenti a due atomi vicini sono accoppiati, invece, dall’interazione magnetostatica, che è circa 10000 volte più debole dello scambio. Di conseguenza, a temperatura ambiente il moto di agitazione termica degli atomi non è capace di distruggere l’ordine a lungo raggio in un ferromagnete, e questo conserva la propria magnetizzazione anche in assenza di un campo magnetico esterno.
Esistono anche dei materiali, detti antiferromagnetici, nei quali è favorito l’allineamento antiparallelo fra gli spin. Il meccanismo microscopico è un po’ diverso, ma il fenomeno viene descritto fenomenologicamente dalla stessa espressione, \(E = – J_1 \sum_{ij} S_i · S_j\) , dove stavolta \(J_1 \lt 0\) (vedi Fig. 5b). Nell’ambito di uno stesso dominio magnetico si ha quindi un forte ordine magnetico a lungo raggio, ma la magnetizzazione risultante è esattamente zero.
In Fig. 5c è mostrato un caso più complicato, in cui uno spin è accoppiato antiferromagneticamente a ciascuno dei due vicini sui vertici di un triangolo equilatero, ma è frustrato perché non può decidere in che direzione orientarsi per minimizzare la propria energia.
Nel 1973 il fisico Anderson ipotizzò che, in un reticolo composto di elementi simili a quello in Fig. 5c, la frustrazione geometrica potesse stabilire uno stato detto liquido di spin quantistico. Naturalmente quando si parla di “liquido” ci si riferisce solo alla mancanza di ordine magnetico a lungo raggio: in realtà gli atomi magnetici non si spostano rispetto alle loro posizioni di equilibrio nel cristallo; è solo il valore del loro spin che fluttua continuamente fra i due valori permessi. In effetti, lo stato di spin liquido quantistico è stato osservato sperimentalmente (oltre 40 anni dopo la previsione teorica) in un minerale a base di rame chiamato Herbertsmithite.

Fig. 5. Su un reticolo quadrato, lo stato ordinato ferromagnetico (a) oppure antiferromagnetico (b) è stabilito dall’interazione di scambio positiva (J1>0, linee azzurre) oppure negativa (J1<0, linee rosse), che favorisce l’allineamento parallelo oppure antiparallelo fra spin primi vicini. Nel caso (c), di tre spin sui vertici di un triangolo equilatero accoppiati antiferromagneticamente, si ha frustrazione.

I vetri di spin come paradigma di un sistema complesso in fisica

In un solido magnetico cristallino, gli atomi con gli elettroni spaiati sono localizzati attorno alle posizioni fisse di un reticolo regolare. In un solido magnetico amorfo, invece, gli atomi occupano posizioni disordinate, come le molecole in un liquido. La differenza è che, nel solido, gli atomi magnetici sono “congelati” (cioè non possono allontanarsi dalla posizione assunta al momento della formazione del solido amorfo). I vetri di spin sono materiali magnetici in cui le interazioni fra coppie di spin, a causa di un disordine congelato, sono in conflitto le une con le altre: a volte sono ferromagnetiche, a volte antiferromagnetiche. Il risultato di questa combinazione fra disordine congelato e frustrazione delle interazioni magnetiche è che, al di sotto di una certa temperatura di transizione Tf , la risposta del sistema al campo magnetico esterno diventa molto lenta e lo stato del sistema dipende dalla storia precedente (Fig. 6). Poiché questo comportamento ricorda quello del vetro, tali sistemi sono stati chiamati “vetri di spin”.

Fig. 6. Al di sotto della temperatura di transizione Tf, la suscettività magnetica di un vetro di spin in funzione della temperatura è diversa a seconda che il campione sia raffreddato in campo (a,c) oppure in campo nullo (b,d).

Fig. 7. Modello minimale di un vetro di spin. Gli spin sono localizzati sui siti di un reticolo quadrato e interagiscono a coppie di primi vicini. Le linee azzurre rappresentano lo scambio ferromagnetico; le linee rosse rappresentano lo scambio antiferromagnetico.

Il primo modello microscopico minimale di un vetro di spin fu proposto nel 1975 da Edwards e Anderson. Esso assumeva che gli spin fossero localizzati sui nodi di un reticolo cristallino e interagissero a coppie di primi vicini, a volte in maniera ferromagnetica, a volte antiferromagnetica, casualmente, con uguale probabilità (vedi Fig. 7). Tuttavia, un modello apparentemente così semplice non è affatto di facile soluzione: trovare numericamente la configurazione ottimale richiede un numero di passi estremamente elevato, che cresce esponenzialmente al crescere del numero di spin. Questo accade perché gli spin sono interagenti; in presenza di frustrazione e disordine, cambiare lo stato di uno spin ha un effetto “a valanga” su tutti gli altri. La maggior parte dei progressi teorici venne ottenuta nell’ambito di un altro modello semplificato, proposto da Sherrington e Kirkpatrick (SK), nel quale veniva fatta l’approssimazione di campo medio: ovvero, si ipotizzava che che ogni spin interagisse con tutti gli altri, e non solo con i primi vicini. Tuttavia, il merito principale nella soluzione di questo modello si deve al fisico italiano Giorgio Parisi il quale, in una serie di lavori pubblicati tra il 1979 e il 1983, propose una brillante soluzione matematica, ma soprattutto una interpretazione fisica. Infatti, dai suoi studi apparve chiaro che una caratteristica fondamentale di un sistema complesso è l’esistenza di un numero grandissimo di stati di equilibrio macroscopicamente differenti nella fase di bassa temperatura (vedi Fig. 8).

T<<Tf

T ≤ Tf

T >Tf

Ne consegue che sistemi identici sotto identiche condizioni possono raggiungere stati completamente differenti, un fenomeno che va sotto il nome di rottura di simmetria delle repliche nella fase vetrosa. In particolare Parisi nel 1980 introdusse una grandezza, detta “overlap”, che fornisce il grado di complessità di un sistema fisico, e che solo di recente è stata misurata sperimentalmente (C. Conti, 2015) in una nuova classe di sistemi laser disordinati.

Crediti per le figure

Fig. 1a: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Antic_chinese_Compass.jpg
Fig. 1b: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Magnetite_with_iron_shavings.jpg#file
Fig. 2 : http://hyperphysics.phy-astr.gsu.edu/hbase/magnetic/imgmag/barsol.gif
Fig. 3: https://commons.wikimedia.org/wiki/File:Magnetic_moment.svg
Fig. 4: http://mri-q.com/causes-of-susceptibility.html
Fig. 5: T. Imai and Y. S. Lee, Do quantum spin liquids exist? Physics Today, August 2016, pag. 30 (fig. 1 pag.32)
Fig. 6, 7, 8: J. A. Mydosh, Spin Glasses: an experimental introduction, Taylor & Francis, Washington DC, 1993 (fig. 1.4 pag. 6; fig. 3.16 pag. 69; fig. 8.2 pag. 235).