RIFLESSIONE APERTA DAL DIPARTIMENTO DI FISICA
Siamo addolorate ed arrabbiate per gli ennesimi casi di femminicidio di Ilaria Sula e Sara Campanella che sono emersi la scorsa settimana. Questi fatti avvengono a poco più di un anno di distanza dal femminicidio, così tragicamente simile, di Giulia Cecchettin, che tanto ha scosso l’opinione pubblica. Le parole e la posizione ferma della famiglia di Giulia Cecchettin sono rimaste impresse nella nostra memoria perché hanno fornito a tutte e tutti delle categorie mentali efficaci per comprendere ciò che era successo. Non è accurato dire che “non si capisce il motivo di questa violenza”. Il motivo è l’oggettificazione delle donne, la cultura del possesso, la cultura dello stupro. La violenza sistemica degli uomini sulle donne è radicata nella nostra società e si mostra in tante diverse sfaccettature, di cui il femminicidio è solo l’apice.
Molte di noi condividono uno sconforto nei confronti delle istituzioni, o come parte delle istituzioni stesse, perché è innegabile che gli eventi dei giorni scorsi rappresentino un fallimento.
Viviamo un momento di angoscia, di rabbia. Riconosciamo le radici del problema e non vediamo cambiamenti sostanziali rispetto a due anni fa.
Sappiamo che la prevenzione e la gestione della violenza di genere sono cose difficilissime da affrontare. Sono territori in cui è facile fare passi falsi: per mettere a sistema il contrasto della violenza di genere, è importante istituire passaggi formali, che però corrono il rischio di rimanere scatole vuote e di non fornire il giusto supporto alle vittime di violenza. La realtà attuale dimostra che gli strumenti legali, seppur necessari, non sono assolutamente sufficienti ad affrontare il problema della violenza maschile sulle donne. Allo stesso tempo, non è detto che ciascuna e ciascuno di noi possieda, a livello personale, gli strumenti per affrontare nel modo migliore la violenza di genere, anche quando avviene contro le persone a noi vicine.
Già da qualche anno ormai, all’interno del Dipartimento che è il nostro luogo di studio e di lavoro, ci impegniamo per costruire relazioni che possano far diventare questo uno spazio “un po’ più sicuro”, un ambiente più affermativo, inclusivo e giusto da vivere, per tutte e tutti.
Siamo sicure e sicuri, e consapevoli, che un cambiamento reale dello stato delle cose non potrà avvenire se non ce ne facciamo carico tutte e tutti perché un cambiamento culturale non può che passare dalle persone.
Questo significa lavorare sull’educazione, sulla formazione, di cui l’università è l’ultimo tassello. Sappiamo che i pregiudizi si fossilizzano proprio durante gli anni della prima formazione e che in quegli anni è necessario prevedere un’educazione sesso-affettiva. L’università arriva tardi nel percorso di formazione, ma noi non abbiamo rinunciato e non rinunceremo ad organizzare ed incentivare formazioni sul tema della violenza di genere, cercando di colmare le mancanza che tutt abbiamo. L’abbiamo fatto e lo faremo in collaborazione con le realtà che da anni lavorano su questi temi: associazioni e centri antiviolenza.
Ma visto che la realtà è quella che conosciamo, il nostro impegno principale, qui e ora, è dedicato a creare una comunità e nel fare rete.
Quello che possiamo fare è suggerire percorsi e associazioni, persone; mettere a valore gli strumenti che esistono per dare supporto e accoglienza a chi è diventata bersaglio della violenza maschile.
Ma sappiamo che questo non è abbastanza. Se tutte e tutti non prenderemo posizione contro la violenza di genere, se non saremo tutte e tutti parte attiva, non ci sarà speranza di cambiare le cose.
Davanti ad un evento estremo come un femminicidio si può essere portati per difesa a dire “non mi riguarda” “non può succedere a me” “io non sono così”. Ma non basta “non essere così” se non si alza la voce contro la violenza e la discriminazione ogni giorno e in ogni contesto. Non si può delegare l’attenzione a questi temi solo alle donne o alle persone sensibili all’argomento. Parliamo ai nostri compagni e ai nostri colleghi uomini: ci aspettiamo che siate al nostro fianco nel farvi carico del problema della violenza di genere, che siate al nostro fianco nelle formazioni, che insieme a noi abbiate gli occhi aperti, che prendiate posizione.
Non smettiamo, tutte e tutti insieme, di impegnarci per rendere questo Dipartimento uno spazio più sicuro e accogliente.
Capiamo e rispettiamo la rabbia del momento, perché appartiene anche a noi.