Se volessimo studiare un monumento come il Colosseo, potremmo cominciare prendendo uno dei mattoni con i quali è costruito: possiamo analizzarne la durezza, valutarne la capacità di sopportare peso, la ruvidità della superficie, o il modo in cui si frantuma se colpito da un piccone. Tutte queste caratteristiche sono sicuramente importanti, ma per comprendere la longeva architettura del monumento dobbiamo considerare come i mattoni sono disposti. Ci accorgeremo allora che la struttura fondamentale che sostiene il colosseo è l’arco, quella speciale invenzione architettonica che permette a numerosi mattoni di sostenersi a vicenda, formando una “volta”, da un pilastro all’altro, capace allo stesso tempo di sostenere il peso della costruzione sovrastante e di alleggerire la struttura complessiva del monumento. Questa osservazione può essere un’utile metafora per comprendere l’importanza dello studio dei sistemi complessi in fisica, ma prima facciamo un passo indietro.

La persona della strada può avere l’impressione che la ricerca fondamentale in fisica sia ormai confinata all’infinitamente piccolo (le particelle elementari) o all’infinitamente grande (l’astrofisica), settori che sono stati spesso sulle prime pagine dei giornali negli ultimi anni, prima con la scoperta del bosone di Higgs poi con quella delle onde gravitazionali. Tutto il resto parrebbe “già scoperto” e che la ricerca fondamentale in tutti gli altri settori abbia ceduto il passo alla tecnologia, cioè all’applicazione di scoperte già fatte. In passato non è mancato chi ha suggerito che potremmo trovarci di fronte alla “fine della scienza”.

Questa interpretazione è quanto mai sbagliata, per due motivi. Innanzi tutto questa visione del mondo naturale come quella di un libro dato, fatto di capitoli che vengono successivamente letti, capiti e poi chiusi è assolutamente infondata e non ha niente a che vedere con la scienza. In secondo luogo, nello stesso periodo in cui si poteva avere l’impressione della “fine della scienza” è cominciata a circolare una parola, complessità, che è passata da essere un sinonimo di difficoltà a indicare una nuova frontiera della ricerca tanto promettente quanto vaga.

Uno sguardo a un dizionario può esserci utile: il De Mauro dà due accezioni per complessità, quella di essere complicato e di difficile comprensione o soluzione (la complessità di un problema) e quella dell’essere costituito da molti elementi (la complessità di una struttura). Per quanto ci riguarda entrambe le accezioni sono pertinenti perché un sistema complesso è certamente difficile da interpretare, ma è altresì composto da molti elementi.

Se vogliamo dare una definizione minimale di sistema complesso, dal punto di vista di un fisico, possiamo dire che è un sistema composto da molte parti in interazione e che sono proprio queste relazioni a caratterizzare il comportamento globale del sistema. In un certo senso, la scienza della complessità si interessa agli “archi del Colosseo”, piuttosto che ai mattoni della natura.

L’aspetto nuovo ed interessante di questo approccio, emerso chiaramente dagli studi degli ultimi decenni, è duplice. Da una parte oggi sappiamo che il comportamento globale, collettivo delle molte parti in interazione, non può essere derivato in maniera semplice dallo studio dei singoli componenti: ovvero il gran numero di elementi e la loro interazione fa emergere comportamenti nuovi e interessanti. Dall’altra si è notato che a volte queste “proprietà emergenti” possono essere piuttosto indipendenti dalla natura degli “elementi” di cui è costituito il sistema. Infatti questi elementi possono essere, certamente, degli atomi, ma possono essere anche degli animali o degli esseri umani o delle vetture o degli aeroporti. Eppure, sorprendentemente, sistemi molto diversi, come un materiale, un ecosistema o un sistema sociale, una rete autostradale o una aeroportuale, possono mostrare comportamenti o dare luogo a fenomeni analoghi, estremamente simili o addirittura identici, misurando le giuste proprietà. In un certo senso si tratta di identificare e descrivere le strutture, “gli archi”, del sistema in esame, cosa che in genere è tutt’altro che semplice.

Una caratteristica peculiare della complessità è quella di essere ubiqua, potendo trovare fenomeni complessi a tutte le scale del mondo fisico, da quelle atomiche a quelle planetarie. Facciamo quindi un viaggio dal microscopico al macroscopico, partendo dal mondo degli atomi, dove dominano gli effetti quantistici. Poi possiamo passare al mondo delle neuroscienze e a quello dei laser per arrivare al mondo di mezzo, dominio della materia soffice. Salendo ancora più su incontriamo i materiali granulari e arriviamo al nostro mondo, dove si possono studiare i comportamenti collettivi delle specie umane e animali e le creazioni dell’uomo, ad esempio le reti. Infine, salendo ancora e alzando la testa arriviamo allo spazio.

Agli esempi precedenti possiamo aggiungere almeno due ambiti, certamente importanti per lo studio della complessità, che sono rilevanti a tutte le scale: le transizioni di fase e i fenomeni di formazione dei pattern, cioè strutture spaziali con una certa regolarità.

Una seconda caratteristica della scienza della complessità, forse ancora più interessante, è il suo essere interdisciplinare. Per quanto i ricercatori che hanno contribuito a questa sezione divulgativa siano soprattutto dei fisici, è per loro naturale interagire e collaborare con ricercatori che spaziano dalla biologia all’economia, passando per la chimica, l’ingegneria e le scienze sociali.